martedì 26 marzo 2013

Sintonizzarsi con il pubblico. Strategie per una frequenza di successo.

Si ha impatto sul proprio pubblico quando si è ottenuto un buon grado di sintonizzazione.

Ci si sintonizza su una stazione radiofonica quando si modulano le frequenze sul nostro apparecchio in modo da poter ottenere un flusso di informazioni chiaro e pulito. Che permette di ascoltare buona musica, per esempio. E permette al mittente di far arrivare al destinatario le sue trasmissioni attraverso il canale radio.

In qualsiasi altro evento comunicativo è bene che il mittente e il destinatario siano sintonizzati sulla stessa frequenza, altrimenti non può esservi alcuna comunicazione.

La sintonizzazione di Papa Francesco, per prendere l'esempio più evidente e attuale, è decisamente efficace. E ha a che fare su una modulazione di frequenza impostata prima di tutto sull'abbattimento di alcune barriere che impediscono nella maggior parte dei casi, la fluidità del messaggio.

Il più acerrimo nemico della comunicazione è la paura. Uno strumento di difesa naturale che l'essere umano possiede per difendersi davanti ad un pericolo. Spesso, però, specie nel caso della comunicazione interpersonale, questo pericolo non viene affrontato. Ma semplicemente evitato. Così il mittente e il destinatario non trovano la stessa frequenza. Il contenuto reale del messaggio resta non detto e la comunicazione fallisce.

Ciò che è importante fare, dunque, prima di arrivare alla diffusione di un messaggio è costruire la propria strategia tenendo conto anche di ciò. 

Sintonizzarsi significa però anche dare valore ai bisogni del destinatario. Qualsiasi canale comunicativo che si voglia instaurare con il proprio pubblico deve interessare quest'ultimo, altrimenti sarà impossibile catturare l'attenzione dei nostri interlocutori.

È un po' quello che ha fatto Francesco, uno che tutto fa tranne che improvvisare. Dietro ogni suo gesto, ogni sua parola o discorso si disegna una strategia precisa. Che ha raggiunto potentemente obiettivi prima impensabili. La gente chiedeva con insistenza che la Chiesa fosse povera, coerente con ciò che predica. Per dirne una. E lui, prima di comunicare con le parole, ha costruito il suo canale attraverso gli esempi e i gesti sulla base di quelle che erano e sono le necessità del suo pubblico.

Ha valutato attentamente i reali rischi da cui le paure antiche dell'istituzione religiosa mettevano in guardia. E ha compreso, mettendo sullo stesso piano i pro e i contro di una comunicazione sintonica, che sia lui che la Chiesa ne avrebbero solo giovato.

È fondamentale dunque che un consulente in comunicazione, dopo aver instaurato un rapporto fluido con il proprio committente, come ho spiegato nel precedente articolo, conosca le dinamiche interne all'azienda, al partito politico o al servizio per il quale è chiamato ad operare. Solo in questo modo potrà costruire una strategia di comunicazione davvero efficace e raggiungere un obiettivo di sicuro successo.


(Nella foto: Papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite, di Maurizio Cattelan)

martedì 19 marzo 2013

Il primo ostacolo del comunicatore è il suo committente. Papa Francesco insegna.

Il primo nodo che un consulente di comunicazione si trova a dover sciogliere è il rapporto con il suo committente. Ossia il responsabile del servizio o del prodotto oggetto del progetto di comunicazione di cui è stato incaricato.

L'esigenza di riformare la professione di comunicatore parte esattamente da qui.

Troppo spesso, infatti, portavoce e addetti stampa si trovano ad eseguire un compito così come gli viene  commissionato. Perché conviene, diciamolo chiaramente, accontentare il proprio committente. Sarà, ci diciamo, più contento del servizio. Noi avremmo fatto quello che lui ci ha chiesto e lui pagherà la prestazione con piacere. 

Ma. Se il nostro cliente fosse così bravo a comunicare non avrebbe certo bisogno di arruolare un professionista. La maggior parte delle volte le scelte comunicative assunte per accontentare il cliente si rivelano in realtà inefficaci. Lui sarà contento perché abbiamo sostenuto le sue idee. Ma noi avremmo mancato l'obiettivo reale. Che poi è il motivo per cui siamo lì.

Una riforma del sistema comunicazione deve dunque partire dal presupposto secondo cui un professionista della comunicazione deve proporre strategie mirate al raggiungimento degli obiettivi. Deve sostenere il suo progetto anche di fronte al proprio cliente e instaurare prima di tutto con lui una relazione di fiducia reciproca. Mostrandogli così la differenza effettiva tra un sistema di comunicazione davvero efficace e l'altro solo apparentemente.

Una relazione di fiducia si instaura se esiste prima di tutto un canale relazionale fluido tra il comunicatore e il suo cliente. Dunque il lavoro inizia a monte. Se un comunicatore è in grado di far comunicare gli altri deve prima di tutto essere in grado di ottenere efficacia nella comunicazione con il proprio committente.

Torno a prendere a esempio il nuovo Papa. Un caso in cui l'oggetto della comunicazione diventa modello per i professionisti del settore. La sua voce ha rotto con il sistema tradizionale di addetti stampa e compagnia. È stato lui a dimostrare che comunicare secondo quanto impone il sistema Chiesa non è affatto utile al raggiungimento del principale obiettivo dell'istituzione religiosa: conquistare i fedeli. E  ha fatto a modo suo.

L'orda di comunicatori vaticani che si affanna quotidianamente a scrivere comunicati stampa e discorsi affettati stava infatti accontentando un vecchio sistema che si è rivelato definitivamente inefficace. Uno staff formato da professionisti patinati adagiati su quanto veniva chiesto loro di fare. Perché, certamente, osare avrebbe significato scardinare le paure ataviche della Chiesa. E nessuno se non un Papa, avrebbe potuto farlo. 

Ecco. Papa Francesco ha sconfitto la paura e si è messo in relazione con il resto del mondo. Per farlo ha dovuto "sintonizzarsi" con la gente.

Di "sintonizzazione" parleremo prossimamente.
Intanto ragioniamo sul modello del Papa. Se ha osato ed ottenuto, per ora, enormi vantaggi sull'obiettivo vaticano perché dunque non osare anche in politica
L'esigenza di una riforma c'è. E può partire dalle strategie di comunicazione.

domenica 17 marzo 2013

Il"buonasera" di Papa Francesco è più efficace di un comunicato. È ora di riformare anche la comunicazione.


Una parola di Papa Francesco ha più presa di un comunicato stampa. Eppure il Vaticano non manca di professionisti della comunicazione, cresciuti a pane a parole.
È arrivato il momento di fare il punto sulla figura del comunicatore professionista, sul suo ruolo all'interno di un'organizzazione (in questo caso la Chiesa) e sulla reale efficacia del suo lavoro.

Papa Francesco ha dato uno schiaffo al protocollo ecclesiastico, comunicazione compresa.
I suoi "buonasera", "buona domenica e buon pranzo", "avete lavorato eh?", i suoi discorsi e le omelie a braccio conquistano più di qualsiasi strategia costruita a tavolino da un intero staff di professionisti. 

Quando, ricevendo seimila giornalisti, ha provato a leggere il discorso preparatogli da chi di dovere, non ha resistito più di due righe: ha stracciato il foglio e si è messo a parlare a cuore aperto.
Non si sentiva a suo agio con quel metodo. Perché sapeva che non era quello il modo migliore per conquistare e farsi capire dal suo pubblico.

Troppo spesso, ormai, comunicare significa semplicemente dire qualcosa, trasmettere un messaggio ben confezionato, grammaticalmente corretto e perfino adeguato al contesto. Creare un prodotto perfetto.
E la sua efficacia? A cosa serve dire qualcosa se il messaggio non è orientato all'interlocutore?

Praticamente a nulla. Lo hanno dimostrato fiumi d'inchiostro sprecato in discorsi scritti come si deve, che ostentavano una condotta impeccabile, una dignità ed un rigore che si credeva adeguati alla magnificenza della Chiesa. 
Tutte balle.
L'effetto in realtà è stato devastante. La gente invece di avvicinarsi alla Chiesa si allontanava. L'autoreferenzialità pone una barriera tra il mittente e il destinatario. Così quello che si ottiene è il contrario di ciò che si vorrebbe, ovvero comunicare

L'individuo che non è considerato parte importante e attiva in una relazione che prevede uno scambio di informazioni perde fiducia nel suo interlocutore. E quel miracolo chiamato dialogo s'interrompe.

È da quel dì che nessuno ha il coraggio di sintonizzarsi sugli interlocutori, Chiesa in primis. Qualche post fa lo avevo scritto e lo ribadisco: Ratzinger ha avviato una rivoluzione consapevole, anche di questo.

Tant'è che Francesco ha sbaragliato. È il comunicatore carismatico per eccellenza. Parla come Cristo, come il Santo d'Assisi comunicava con il creato perché percepisce i bisogni degli individui, non teme confronti e si sintonizza perfettamente con i suoi interlocutori. Sa che andare incontro alle persone non può essere pericoloso e non può portare che benefici. Per farlo, certamente, deve essersi costruito un'integrità personale non indifferente.

Questo fa di lui un esperto di comunicazione molto più scaltro e funzionale di una schiera di professionisti contemporanei. 

Cercheremo di capire nei post successivi, quali sono i vantaggi di un evento comunicativo in cui mittente e destinatario sono sintonizzati e quanto i comunicatori possono imparare dall'esempio di Papa Francesco.

giovedì 14 marzo 2013

14.3.2013. Papa Francesco nei titoli dei quotidiani italiani.

"Fratello Papa". Il Secolo XIX sintetizza tutto il carico di significato della scelta del cardinale Jorge Mario Bergoglio di assumere il nome del Santo d'Assisi (dialogo alla pari, povertà materiale e ricchezza di spirito). E probabilmente è quello che in questo momento colpisce più di tutti.
Non all'altezza del precedente "Il Pastore tedesco", il Manifesto gioca con la canzone di Battisti e propone un "Non è Francesco" precauzionale.
Repubblica punta sul rinnovamento della Chiesa, Europa sulla riconquista della fiducia. Il Corriere sottolinea l'effetto sorpresa.
Una carrellata di parole che ricostruisce i sentimenti percepiti e le riflessioni generate nel corso dell'elezione del Papa, la sera del 13 marzo 2013.
























lunedì 11 marzo 2013

Iene vs Conclave. La Chiesa che non sa comunicare.




Pare una cosa banalissima.

Eppure comunicare è una di quelle azioni che meno vengono bene alla gente. Se così non fosse innanzitutto io non avrei bisogno di affannarmi in questa missione. In secondo luogo, però, si assisterebbe a dei piccoli grandi miracoli quotidiani.

Come dire: "mica siam qui a colorare le api sull'abecedario". Abbiamo un compito preciso: quello di portare consapevolezza e di massimizzare i benefici delle relazioni comunicative secondo alcuni passi fondamentali.

Non c'è comunicazione, d'altronde, senza relazione
Due persone o entità, per poter comunicare hanno bisogno di relazionarsi. Deve esserci un contenuto, un canale, un emittente ed un destinatario. Ma questo lo sappiamo da quel dì. 
Quello che non sembra esser compreso invece dagli attori della vita sociale e politica mondiale sono alcuni presupposti imprescindibili alla comunicazione efficace. Parliamo di disponibilità. All'ascolto, per esempio. Un principio essenziale che dà immediatamente senso al buon esito di un evento di comunicazione.

Trovo molto interessante a tal proposito ciò che sta accadendo in questi giorni di fermento per l'elezione del Papa.
Qualche articolo fa ho accennato con ottimismo alla possibilità di interpretare come strategia promettente la decisione di Benedetto XVI di lasciare il Papato.
Secondo quell'analisi, l'ex Pontefice avrebbe preso una decisione seguendo criteri di ascolto dei bisogni della gente e di autocritica rispetto alla condizione della Chiesa. Chapeau.
Ora.
Osserviamo il grande lavoro di supporto all'informazione che sta svolgendo il programma di Italia Uno "Le Iene" proprio nella settimana del Conclave.
I cardinali rifiutano di esprimersi sul tema della pedofilia vaticana davanti alle telecamere. Davanti cioè a quel canale che trasmette il messaggio ad un pubblico vastissimo, una bella fetta dei fedeli italiani.

Da un lato le vittime degli abusi che raccontano il loro terribile vissuto. Dall'altra i porporati che dovrebbero rappresentare nella sua più alta espressione: la Chiesa. Che, tralasciando le numerose perplessità personali, dovrebbe rappresentare la religione di Cristo, un uomo povero tra i poveri, mai reticente, generoso, comprensivo, amorevole. E via dicendo.
Insomma, uno che non aveva bisogno certamente di esperti in comunicazione per poter godere di un successo durato almeno 2013 anni.
La considerazione obiettiva è che il Conclave non è pronto ad ascoltare.
E di conseguenza non è pronto a comunicare.
E ancora non è in grado di avviare un profondo restauro della Chiesa, quello auspicato da tutti, Ratzinger (con il beneficio del dubbio)  in testa.

Ci sono davvero delle controindicazioni ad esprimersi davanti ad una telecamera?
L'impressione, che sia sbagliata o meno, che i Cardinali hanno dato in tv, è stata drasticamente controproducente ad una politica di ascolto della gente, di ammissione delle proprie colpe, di confronto costruttivo. Volto ad conquistare la fiducia degli uomini e a crescere insieme.
Quali sono i rischi che la Chiesa corre? E quali sono i suoi reali obiettivi?
Nulla, a quanto pare, che abbia a che fare con una vera, profonda e convincente ricostruzione.



giovedì 7 marzo 2013

Grillo e la strategia del pulcino. Una riflessione su imprinting e relativismo in politica.

Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta, diceva il buon Socrate.
Quando Konrad Lorenz definì l'imprinting, a esempio, lo fece dopo aver osservato il comportamento di alcune specie animali. Poi vinse il Nobel.

Prendiamo i pulcini. È provato che se nei primi secondi immediatamente dopo la nascita osservano un solo individuo, chiunque esso sia, (perfino un uomo) loro riconoscono in lui la propria madre. L'imprinting è presente anche nei mammiferi e, seppur con peso inferiore, nell'uomo.

Ora, tenendo conto di ciò, le nostre ricerche possono andare avanti, abbracciare il comportamento umano e giungere ad alcune riflessioni che possono interessare le strategie di comunicazione e finanche la direzione dei movimenti politici.
Riflessioni che possono servire ad avere una maggiore consapevolezza sulle scelte di elettori e candidati, di linguaggi e obiettivi. E magari consentire ai professionisti interessati di effettuare scelte definitivamente più autonome.

Teniamo conto che l'imprinting condiziona il comportamento dell'esemplare per tutto l'arco della sua vita. Le sue scelte, dalla ricerca del partner all'accoppiamento, alla vita di relazione alla ricerca del cibo, fanno affidamento anche sulla buona riuscita del l'imprinting.
Ma cosa può avere a che fare una simile scoperta con la comunicazione politica?
Uno step alla volta ci arriviamo.

Secondo Dan Ariely, appassionato ricercatore del comportamento umano specie in riferimento alle scelte che condizionano il mercato, le decisioni dell'uomo non sono mai frutto di una sua libera e consapevole scelta.

A meno che.

A meno che non diventi davvero cosciente dei suoi imprinting. Ariely prova, attraverso numerosi esperimenti, che l'imprinting condiziona tutte le nostre scelte. Pare che il nostro cervello sia dotato di una sorta di memoria nella quale vengono impresse le prime esperienze, di qualsiasi genere esse siano. Non solo dunque quella legata al riconoscimento del genitore.
A quanto pare il fenomeno si propone quando vediamo associato per la prima volta un prezzo ad un determinato prodotto. Quel prezzo funge, nella nostra memoria, da àncora. Qualsiasi altra variante incontreremo rispetto a quello stesso prodotto, la paragoneremo sempre alla nostra prima esperienza, al primo prezzo, all'imprinting.

Insomma questo è il punto cruciale del nostro ragionamento. Che conduce ad un concetto inevitabile: quello del relativismo.

Tutto ciò che accade nella nostra vita non è dovuto a scelte assolutamente libere ma è inevitabilmente relativo. Frutto, in parole povere, di preconcetti. Ma attenzione: preconcetti difficili da sradicare se non si coglie fino in fondo il motivo della loro esistenza, ossia l'imprinting che li ha generati.

Arriviamo dunque a riflettere sulle scelte politiche.
Non c'è esempio migliore di ciò che è sotto gli occhi di tutti in Italia. Siamo nel mezzo di un mutamento radicale della geografia politica. Il popolo ha deciso a chi dare il proprio voto sulla base delle esperienze acquisite al governo negli ultimi anni. È in riferimento a quel modo di gestire la politica e la cosa pubblica (l'àncora) che è nato il Movimento Cinque Stelle, per esempio.

E allora dove sta la vera innovazione? Non c'è in realtà. Il M5S non è un partito nato da una libera scelta. E, probabilmente per questo motivo (azzardo una previsione) non potrà avere il successo che promette. Ciò non vuol dire che le altre scelte degli elettori non siano state condizionate. Anzi. Tutto, davvero tutto, dipende dall'esperienza che gli elettori hanno usato il 24 e 25 febbraio 2013, come termine di paragone. Sempre più frequentemente può capitare di sentirsi dire: "Ho votato il male minore", questione di triste relativismo.

Cosa potrebbe dunque fare un professionista della comunicazione in questo caso?
Innanzitutto valutare la sua strategia con la maggior consapevolezza possibile, tenendo conto del relativismo delle scelte. Tentare di tradurre la stessa consapevolezza nella redazione di un programma politico, a stretto contatto con il candidato o il partito.

Entrando nel merito della strategia è importante che sia consapevole dell'influenza del l'imprinting sull'elettorato. Dovrà cercare di curare la reputazione del candidato, lanciare messaggi chiari, precisi e stare attento al livello di qualità associato a: dichiarazioni, comunicazioni, interviste, attività promozionali. Il primo impatto infatti sarà quello di riferimento per il suo elettorato.

È importante poi liberarsi dai propri imprinting. Capire fino a che punto le proprie scelte di comunicazione politica sono condizionate da quelle altrui e, paragonandole all'impatto che avrebbe un'operazione di marketing sul mercato, decidere quale scelta conviene effettuare per ottenere la risposta adeguata alle proprie necessità e non condizionata da giudizi relativi. Offrire il proprio prezzo e misurarlo solo con la risposta che si vuole ottenere.

Una volta raggiunte le consapevolezze sul relativismo
delle scelte comunicative e programmatiche, è possibile gettare le basi per un governo fatto di partiti realmente liberi.

Approfondimenti: Dan Ariely, Predictably Irrational, ed. Harper Collins



venerdì 1 marzo 2013

Umanesimo 2.0 e la strategia vincente del M5S

La rivoluzione digitale, l’uso smodato dei social network, dei blog, e tutti i nuovi canali di comunicazione hanno portato l'uomo al centro del mondo. Il singolo individuo ha un ruolo attivo e protagonista.
Oltre al mutamento dei media, dunque, anche questo spostamento del target ha condizionato parecchio, se non stravolto, la comunicazione pubblicitaria, ad esempio. 

Tutta la strategia viene cucita attorno all’utente, alle sue emozioni, ai suoi bisogni, alla sua identità. 
La gente vuole essere vista e ascoltata. Vuole essere capita.

E chiunque abbia intenzione di pianificare una strategia di comunicazione per conquistarsi la sua fetta di pubblico in questo momento deve tenerlo in considerazione. 
Basta osservare gli spot virali sempre più diffusi sul web (e sempre meno in tv), che mettono l’uomo al centro delle loro strategie. 

La comunicazione politica italiana nel 2013 ancora non ha raggiunto questi livelli di coinvolgimento ma è lì che è importante giocarsi le proprie carte.

Vediamo cosa è accaduto, tenendo conto di queste considerazioni, nel corso della recente campagna elettorale per le elezioni del governo nazionale e di alcuni governi regionali.

Nicola Zingaretti per la sua candidatura alla presidenza della Regione Lazio come claim (la promessa fatta agli elettori) ha scelto il titolo della canzone di John Lennon “Imagine” (Immagina). L’idea, ricordando il testo di quel brano, è quella del ritorno alla pace, alla libertà e alla collaborazione, evidentemente in rottura con il precedente governo guidato da Renata Polverini e caduto a causa degli scandali del denaro pubblico sperperato da alcuni esponenti del Pdl. Ha funzionato da un lato perché il momento lo permetteva, dall’altro perché proprio in considerazione di quel momento critico ha fatto leva sui bisogni dei cittadini.

È stata di grande successo anche la strategia personale di Silvio Berlusconi che ha avuto l'intuito di far ruotare la sua campagna elettorale tutta attorno ad una promessa che nessun altro avrebbe avuto il coraggio di fare: Vi restituirò l’Imu. Ha affondato il colpo laddove era più fresca la ferita del governo tecnico di Mario Monti. Si è distinto dalla concorrenza. Ha usato i social network ed ha parlato direttamente ai suoi elettori. Ha ascoltato i loro bisogni, la loro rabbia più profonda e l’ha placata. Questa è stata l’arma che gli ha permesso, incredibilmente, di tornare ad avere un grande consenso da parte degli italiani.

Non è stata convincente la strategia del Partito Democratico per le politiche. Nessuna promessa forte, nessun obiettivo chiaro, nessun target di riferimento, comunicazione tradizionale. E il risultato non è stato quello che tutti si aspettavano. A dimostrazione di quanto sia importante, anche se si è favoriti dalle circostanze, avere una strategia di comunicazione ben strutturata.

Il fenomeno più interessante delle elezioni 2013 è stato Il Movimento 5 Stelle. Apparentemente non aveva nessun claim. E invece quello che ha portato i sostenitori di Beppe Grillo al successo è stato qualcosa di molto simile a quello che abbiamo passato in rassegna fino ad ora. Aveva un obiettivo, un target preciso, elementi di valore e di innovazione. E una promessa forte.
L’obiettivo degli emmecinquessini era quello di conquistare il Parlamento.
Il target: tutti gli elettori e i cittadini stanchi di votare le solite facce, i soliti partiti, di pagare tasse per sostenere il lusso dei vecchi parlamentari. Quelli, insomma, che volevano un cambiamento concreto.
Innovazione e valore: il movimento è nato nelle piazze, ha un’impronta rivoluzionaria, ha ascoltato le persone e le ha rese protagoniste. Non ha solo ascoltato i loro bisogni ma ha dato loro la possibilità di avere il potere di cambiare, candidandole.
Ha abbattuto la concorrenza poiché ha portato avanti idee di rottura totale con il concetto di politica tradizionale.
Promessa: Abbassare gli stipendi dei parlamentari, ridare potere al popolo, eliminare il gap tra Parlamento e cittadini. E soprattutto tornare al concetto di un governo servitore.
Niente slogan ufficiali, propagande pubblicitarie, spot. Solo strade, piazze. Lontano perfino dai giornalisti. Una follia. E invece ha funzionato.

Probabilmente proprio per la necessità palpabile dell’uomo di tornare al centro del mondo. Una conferma, dunque, del fatto che la comunicazione oggi più che mai deve prestare ascolto ai bisogni delle persone e renderle protagoniste.