sabato 25 maggio 2013

Storia di una giornalista intervistata e di un camaleonte vanitoso


«Per fare questo mestiere ci vuole un pizzico di vanità». 
Lo diceva Lidano, il direttore della testata dove ho imparato a fare giornalismo

Ogni giorno avevo le palpitazioni, l'ossessione del foglio bianco, le mie pagine da riempire. E questo mi faceva sentire terribilmente viva. Quando vedevo il mio lavoro, il giorno seguente, pubblicato, impaginato e firmato da me la soddisfazione era al culmine. E si ricominciava.

Ho imparato a non tremare davanti alla telecamera e a fare della sana autoironia anche in tv. 
Il piacere di realizzare qualcosa di esclusivamente mio e bello proprio per questo, con tutti i difetti che umanamente si hanno, era senza paragoni.

Dunque un po' vanitosa la sono, non lo nascondo. E credo sia un pregio che mi permette di muovermi con sicurezza dietro al teleschermo, avere il coraggio di firmare il mio lavoro e, per l'appunto, metterci letteralmente la faccia.

È per questo che oggi sono fiera di condividere l'articolo a tutta pagina di una collega e amica, Maria Corsetti, a cui molto devo della mia formazione televisiva, per il lancio del mio ebook: "Come costruirsi una strategia di comunicazione di successo" edito da AbelBooks.

La pagina è tratta dal periodico "Latina per strada". Buona lettura.



sabato 18 maggio 2013

Spot ultramilionari e call center inefficaci: il paradosso delle grandi aziende di telecomunicazione



Quanto è efficace una campagna pubblicitaria se la strategia di comunicazione non contempla investimenti nelle relazioni umane?

Prendiamo le grandi aziende di telecomunicazione italiane. Le maggiori investono capitali enormi in spot pubblicitari e vari canali mediatici a supporto di queste. 
È incredibile lo sforzo finanziario che impiegano per sfoggiare il miglior testimonial, musiche e slogan martellanti. Quel che succede è che vengono raggiunti un gran numero di potenziali utenti i quali imparano a conoscere e riconoscere quel marchio ovunque.

La storia pubblicitaria di Telecom è davvero affascinante. Da ieri ad oggi le sue campagne pubblicitarie hanno emozionato cogliendo il senso più profondo di "comunicare". 
Alcuni esempi: 

"Le emozioni non cambiano. Il modo di comunicarle sì" (2011).



e il più recente "Comunicare, connettersi, vivere" (2013) dove il colosso della telefonia fa scomodare addirittura il buon Martin Luther King.



Il concorrente Vodafone non è da meno. Con i suoi spot spumeggianti di testimonials dai cachet da capogiro è uno dei marchi più imponenti sul panorama mediatico.


Questo uno degli spot andati in onda per il Natale 2006 con Totti e Gattuso.



E come può sfuggire l'onnipresente pinguino che ruba la voce ad Elio per insinuarsi senza pietà nei padiglioni auricolari di tutti?


Senza scomodare gli altri operatori che pure non lesinano sugli investimenti pubblicitari il pubblico ha un'idea di quale sia la presenza costante della comunicazione istituzionale di ciascuno di essi.

Tuttavia basta una telefonata al call center dell'operatore al quale si è interessati e il mondo di cui hanno cercato di farci innamorare attraverso le campagne pubblicitarie milionarie crolla davanti alle nostre orecchie. Paradosso.

L'esperienza più recente che ho avuto mi ha letteralmente traumatizzata. Posso ipotizzare che a fine giornata la signorina che ha preso la mia telefonata fosse stanca e magari frustrata da una vita e uno stipendio poco soddisfacenti. E probabilmente è così. Lungi dal voler giustificare o analizzare i problemi dell'operatrice piuttosto mi chiedo per quale motivo queste grandi aziende non investano nella qualità delle relazioni con gli utenti, che sono la loro fonte di guadagno.

È probabile che in un call center gli operatori siano formati per vendere: essenziale. Tuttavia è abbastanza chiaro che non siano formati per comunicare. Il che significa che dovrebbero saper vendere senza saper comunicare. Cosa che non solo trovo grave specie da parte di un'azienda che vende comunicazione ma soprattutto incredibile perché è a grande svantaggio della stessa azienda.

Come ho più volte sottolineato nei miei articoli e ribadisco nel mio breviario "Come costruirsi una strategia di comunicazione di successo" (AbelBooks) per ottenere successo da una strategia di comunicazione e riceverne benefici è fondamentale conquistarsi la fiducia dei propri clienti o potenziali tali. Per arrivare a ciò bisogna tenere presente il principio di verità. Che in questo caso significa: comunicare valori che l'azienda per prima deve applicare. Altrimenti il mondo costruito negli spot ultramilionari crolla nello stesso istante in cui l'utente entra in contatto con l'operatore. Formato, come abbiamo detto, per vendere e non per comunicare con le persone. Che è la sua principale attività.

Recentemente tutti i call center hanno inserito una modalità di controllo degli operatori, una sorta grande fratello della telefonia per cui tutte le chiamate vengono monitorate e registrate per poi essere analizzate a campione. A volte capita anche che l'utente venga ricontattato dall'azienda che lo interroga sulla trattativa avuta con l'operatore.
Una strategia del terrorismo che alimenta la frustrazione degli operatori e non insegna loro ad adottare le strategie più efficaci per ottenere l'attenzione dell'utente, ascoltare i suoi bisogni e soddisfarlo non solo attraverso corrette informazioni ma anche con un corretto atteggiamento relazionale che genera fiducia, affidabilità, fidelizzazione e stima anche laddove può esserci un problema difficile da risolvere.

Se le compagnie telefoniche investissero in una formazione sulla comunicazione interpersonale nei call center e in tutti i punti di contatto con i clienti ne ricaverebbero certamente ottimi risultati nelle vendite. 
Comunicare, connettersi, vivere, no?









martedì 14 maggio 2013

Come costruirsi una strategia di comunicazione di successo




Vi presento la mia creatura: un piccolo manuale ad uso di tutti, per poter imparare a comunicare la propria immagine e quella della propria attività.


Lo scopo di questo manuale è quello di fornire al lettore gli strumenti basilari per costruirsi autonomamente un’immagine di successo, applicando la struttura delle strategie di comunicazione pubblicitaria alle esigenze di liberi professionisti, freelance, politici. Insomma di chiunque voglia promuoversi da sé. 
Non si sentano esclusi i creativi. Anzi. Questa guida sarà molto più utile alle menti che brulicano di idee. Fornisce infatti le basi strutturali per poter permettere alla creatività di esprimersi al meglio. Poiché anche le idee più grandiose, se non seguono un tragitto preciso, finiscono in una nuvola di fumo. E non mette al bando gli altri. Semplicemente perché tutti, nessuno escluso, abbiamo un potenziale creativo.
Un passo alla volta potrete sperimentare su voi stessi la strategia che più si addice al vostro progetto professionale.


Questo il link per scaricarlo. Consigli efficaci ad un prezzo piccolissimo: meno di 5 euro!

http://www.ultimabooks.it/come-costruirsi-una-strategia-di-successo#descrizione

lunedì 6 maggio 2013

Antonio Mattia e il finto nudo della Boldrini. Un caso politico? Una lacuna legislativa da colmare?

Antonio Mattia
«La mia idea è quella di riunificare la destra sociale, di ridare vita ad un partito che si collochi a destra del Pdl». Antonio Mattia, il giornalista indagato per la condivisione sui social network della finta foto nuda del Presidente della Camera Boldrini, non ha mai nascosto le sue idee politiche. Anzi, poco tempo fa ha iniziato ad immaginare la rifondazione di un partito di estrema destra, magari con Francesco Storace.
C'è un nesso? Vediamo di capirci qualcosa.

«Domenica - racconta il giornalista napoletano residente a Fondi - ero con dei colleghi e abbiamo deciso di fare un test su Facebook. Volevamo capire quanto gli italiani siano morbosi. Quale sarebbe stato l'effetto, cioè, che avrebbe suscitato la foto del nudo (che tutti sapevano essere un fake, tra l'altro) della Boldrini rispetto ad una, che so, di David Rossi, il responsabile comunicazione del MPS morto suicida. Ebbene le abbiamo condivise entrambe. Il risultato? Nel giro di otto ore la prima è stata condivisa 2376 volte e ha generato 116 richieste di amicizia. La seconda zero condivisioni e 3 "like"». 
Una parte della foto incriminata
C'è da dire inoltre che la foto incriminata era già presente sul web e su Facebook. «L'avevo condivisa da un altro utente» spiega.

Perché indagare chi condivide il post e non risalire a chi lo ha generato? Perché, se si segue questo criterio, non indagare almeno le altre 2376 persone che hanno fatto lo stesso?
Secondo "Repubblica" e "La Stampa" Antonio Mattia sarebbe indagato per aver travalicato «i limiti della corretta informazione, oltrepassando il legittimo diritto di cronaca e di critica giornalistica» malgrado Facebook non sia una testata giornalistica e la condivisione di un post, fortunatamente per l'ordine professionale, sia ben lontana dalla redazione di un articolo.

Ci sono tutti gli estremi, insomma, per suscitare la curiosità di chi fa questo mestiere e si pone continuamente delle domande.
Una risposta possibile, nulla più che un'ipotesi lui ce l'ha. «È possibile che qualcuno abbia deciso di monitorare le attività "filo-fasciste" sul web e di remprimerle» sostiene.
E se si trattasse davvero di una strategia repressiva, sarebbe davvero efficace? Con questo esempio dopotutto il nome di Antonio Mattia è balzato alle cronache nazionali, ha invaso tele, radiogiornali, blog e testate.
Inoltre: siamo davanti ad una questione normativa che ha bisogno di essere affrontata. 
I nuovi mezzi di comunicazione danno la possibilità a chiunque di pubblicare opinioni, contenuti e notizie, non solo ai professionisti del giornalismo. 
È necessaria una riforma della legge sul diritto di cronaca? È necessario legiferare in merito a quanto viene pubblicato sulle reti sociali e sul web? 
Non esiste alcuna regolamentazione nazionale in merito ai contenuti condivisi sulla rete. 
Il reato di diffamazione è dunque imputabile a chiunque usi i social network o solo ai giornalisti? 
È indispensabile a questo punto costruire delle risposte.