venerdì 22 novembre 2013

Mulini Bianchi e Moulin Rouge sull'Autosole. Fotografia delle relazioni di coppia lungo lo stivale.

Una domenica passata sulla A1. Dal mattino alla sera. Torno da un festival letterario e mi sparo l'Autosole tutta d'un fiato. Da sola. Cosa che non mi è mai acccaduta per cui quel che faccio quando mi capita di fare per la prima volta una cosa da sola è: osservare.
E ne vengono fuori delle belle.
Una considerazione maturata in anni ed anni di osservazione della gente: gli uomini stranieri più sono fighi e più sono accompagnati da donne bruttissime. Ma hanno sul viso stampata la candida felicità del Mulino Bianco.
Cominciamo dall'inizio perché questo viaggio è l'esempio di quello che puoi incontrare, così, a caso, lungo un tratto d'autostrada italiano. E ne è venuta fuori la fotografia delle relazioni di coppia lungo lo stivale.
Il primo incontro degno di nota sono i trans. Due virgolettate signore imbellettate e ben allestite entrano in un bar, prima del casello. Scena dall'esterno. Un ragazzetto in divisa da lavoro osserva me, che son donna, con evidente interesse. Da sottolineare che quello lì avrebbe guardato qualsiasi essere dotato di pertugi con quell'espressione. Ma sul più bello, mentre mi accorgo che sta per proferire parola (e Dio solo sa quale selezione linguistica avrebbe prodotto il suo cervello), ecco che fanno la loro entrata in scena le due virgolettate. Il ragazzetto è ancora concentrato tutto sul suo unico neurone linguistico (gli altri due tre neuroni sono impegnati in un'accesa discussione col testosterone) quando la stanga di 1,90 dotata di mascellone, calze a rete e voce caveronsa gli rivolge un entusiasmante saluto, carico di significato: "Ehi ciao, tesoro!" Che poi il mascellone nemmeno sembrava tanto interessato al ragazzetto. Però quell'intonazione la diceva lunga su una già evidentemente collaudata amicizia. E avanti. I trans entrano nel bar e il tizio si sgonfia. Smascherato nella sua intimità perde ogni interesse nello sventolare l'ormone. Il mascellone, almeno per me, è stato una manna.
Secondo flash. Autogrill.
Dopo aver esplorato la toilette mi accingo a percorrere il labirintico market, di quelli strategici che qualcosa la devi comprare per forza. Ma va beh a me serve solo il dentifricio. Però uno sguardo qua e là lo butto. Ed ecco che mi si presenta una delle realtà più caratteristiche della società moderna italiana. Due veri "tipi" da commedia dell'arte, ahimé molto ma molto lontanti da quelle nobili figure teatrali che al nostro bel paese han dato pregio. Però tant'è. Questi son quelli che abbiamo oggi.
Sollevo lo sguardo dai cioccolatini e davanti a me si materializzano una bella e prosperosa giovane assieme ad un premurosissimo e rotondo pappone canuto. Il quadro è agghiacciante. Non me lo perdo nemmeno per sogno. I due prendono tutta la scena. Ed è davvero come se fossero entrambi al centro di un palcoscenico, illuminati dalle luci della ribalta si muovono a loro agio, sapendo naturalmente di essere osservati da un vasto pubblico e di questo ancor più compiaciuti.
La bella è abbigliata con opinabile gusto ma sarà facile figurarsela con minigonna inguinale, calze velate, tacchi a spillo e scollatura. Troppo facile. Quel che non sapete è che aveva effettivamente un volto delicato, occhi azzurri ed una folta capigliatura corvina su pelle chiara. Bella come un'opera d'arte sfregiata. Ma che vuoi fare. Son scelte. Lei era tutta catturata dalle autogrilliane raccolte di musica leggera italiana. Di quelle che mettono insieme un po' di tutto e son divise per decenni. In tutto il suo candore esclama al suo accompagnatore: "Guarda! Ci sono gli anni '60. '70, '80, '90... sai che sono tutte belle? vorrei prenderne una!" Sapendo già, subdola, che lui non le avrebbe mai negato un tal dono pensando a ciò che lei poi avrebbe più lietamente corrisposto. "Dai, prendili tutti!" E lei, ancor più subdola: "Ma no, ma dai, tutti?". Ed è qui che credevo fossero arrivati all'apoteosi della pièce in scena all'Autogrill. Quando lui le ha risposto: "Ma sì, prendili tutti. Tanto oggi ci dobbiamo divertire no?". Forse ho capito che è una pièce drammatica. Mi vien da piangere. E allora prendo su il mio dentifricio, mi concedo il mio personale momento di lussuria acquistando una barretta di cioccolato, di quelle buone, e abbandono la platea. Credendo di essermi lasciata alle spalle i due protagonisti. Accendo il motore, mi dirigo verso la pompa di benzina e mi fermo davanti all'erogatore del gasolio. Spengo il motore e mentre aspetto il garzone, mi volto, per dare un'occhiata in giro. In quel preciso istante il muso di una Ferrari testa rossa fa capolino accanto alla mia utilitaria. E si ferma. Non c'è bisogno di aggiungere altro se non che alla guida non c'era il pappone ma: lei. Perché "oggi ci dobbiamo divertire". E con l'ultimo sussulto di tristezza ingrano la prima.
Terza sosta.
Stavolta c'è l'Autogrill quello anni settanta, che scavalca l'autostrada da un lato all'altro sicché trovi gente che va in entrambe le direzioni. E mi gira un po' la testa che se non ci fossero i cartelli ad indicarmi da quale parte dovrò uscire per andare nella mia direzione io avrei sicuramente sbagliato.
Il ristorante è self service. Faccio la mia selezione e mi avvio verso la cassa. Una coppia italiana mi precede. Devo dire bella coppia, sulla quarantina, belli entrambi. Così d'amblé sembrano anche professionalmente affermati. Ma poi all'italiano basta una coda a scatenare gli istinti animali più profondi. Lei dice: "ah hai preso la frutta? la voglio anche io!" Lui risponde, con tono rude: "Stai ferma". Poi silenzio. Non dà spiegazioni perché l'uomo non deve dare spiegazioni. Lei allora cerca di intuire la buona fede: "Ho capito, facciamo a metà con la tua? non ti và tutta?". Lui, con aria quasi scocciata ma pur sempre superiore: "Quando arrivi a poggiare il vassoio ti vai a prendere la frutta. Prima non ti muovere. Hai visto quella che casino ha fatto prima?". Ecco. queste scene sono meravigliose. Meravigliosamente tristi.
Ma arriviamo al clou. Mi siedo davanti al mio arrosto di tacchino stoppaccioso, le patate sfatte e la mia porzione di frutta che con l'inganno ho comprato a 4,50 euro credendo di avere l'offerta speciale ad 1 euro com'era pubblicizzato ovunque ma, "signora - mi dice la cassiera - per la promozione doveva prendere la scodellina piccola". E non c'era scritto da nessuna parte questo. Ma vabbè mando giù i bocconi amari di un pranzo mediocre pagato 17 euro e sto zitta.
Mi guardo intorno. Due anziani mangiano per dovere e non si rivolgono la parola. Lui ha una testa che potrebbe fare i 360°, si guarda attorno come una bestia ferita fuori dal suo habitat naturale. E mentre io azzanno un boccone di tacchino e patate arriva la visione. Un ragazzo bello. Di una bellezza inconsapevole. Bei lineamenti maschili, sotto i quaranta, moro, sicuro ma affatto pieno di sé. Davvero una bella visione. Me lo gusto qualche secondo, lui neanche si guarda attorno, si vede che non cerca nulla fuori del suo mondo. Che sta bene con quello che ha. E quello che ha sono due bellissimi bambini che lo raggiungono seguiti da LEI. La figura femminile che corona il quadro familiare. Si vede subito che non sono italiani. Lei è biondissima, come la bimba. E parlano una lingua che a distanza non distinguo. È proprio un bel momento. Peccato che lei, la donna che lui ama somigli più ad un animale da pascolo che ad un essere umano. Peccato, mi dico. Lui è davvero bello. Lei no. Cose che accadono solo all'estero. In Italia no, non è possibile. Perché nella coppia lei dev'essere bella. È questo che è tristemente importante. Che se non è così dura poco. Ma non perché siano più forti le "Terry de Nicolò". La triste verità è che son gli uomini italiani a cercarle. E quelle si moltiplicano. Altro che Mulino Bianco: l'Italia è il paese del Moulin Rouge!