domenica 30 agosto 2009

La tempesta ferma

Laura sentì la chiave girare nella serratura. E rimase immobile. Come se quel rumore non significasse nulla. Era sdraiata sul divano, le gambe piegate di lato, il telecomando a terra. Sullo schermo passavano le immagini di un vecchio film ma lei aveva la testa da tutt’altra parte. Quel rumore l’aveva destata per un attimo dai pensieri in cui era assorta. Nulla di particolare, lasciava la testa libera di vagare tra immagini, ricordi, desideri. Un’intensa attività cerebrale che però non corrispondeva a delle reazioni fisiche.
Marco era stanco, ma era contento al pensiero di rivedere la sua ragazza. Non vedeva l’ora di raccontarle della sua giornata al lavoro. E di annunciarle che tra pochi mesi avrebbe avuto una promozione. La società stava investendo in un grande progetto e lui, molto probabilmente, avrebbe dovuto iniziare a viaggiare, per allacciare contatti con i clienti all’estero. 
Quando la porta si aprì fu travolto da un’ondata di oscurità. Le luci erano spente e in lontananza, dalla porta del soggiorno, arrivava una luce fioca, azzurrina. In sottofondo la musica di un film d’avventura. Non doveva essere recente, data la qualità del suono e l’intonazione delle voci. Posò a terra la sua valigetta, accanto all’appendiabiti. Il suo umore era già cambiato. Era come avere la sensazione di dover lasciare il proprio mondo per dover entrare in un altro. Ma lui non aveva intenzione di chiudere la saracinesca. Voleva condividere con Laura le sue emozioni. Sapeva che quelle di lei erano lontanissime dalle sue. Ma, anche per questo, voleva rompere quel muro.
Laura non si era mossa. Era ancora lì, sul divano, immobile. Come se aspettasse che il mondo andasse a cercarla. Come se non volesse prendere nessuna iniziativa.
«Ciao amore» esordì Marco. Quando la vide capì che Laura non aveva preparato la cena. Erano le dieci e lui era affamato. Non solo di cibo. Aveva voglia di mordere la vita, di sbranarne ogni istante, di essere felice per quello che era. E per avere accanto una donna straordinaria. Marco e Laura vivevano insieme non perché l’avessero proprio deciso. La cosa era venuta da sé. Si erano conosciuti all’università quando entrambi vivevano in affitto con altri studenti. Poi a casa di Laura si era liberato un posto. La sua amica Elena se n’era tornata a casa, in Calabria. Marco dormiva tutte le sere in quell’appartamento finché non si rese conto che aveva portato lì tutte le sue cose e che sarebbe stato inutile continuare a pagare un affitto in una casa in cui non viveva. E che sarebbe stato più logico pagare metà di quello di Laura. Quando l’aveva conosciuta traboccava di vita. Studiava letteratura ed era innamorata del teatro. Aveva iniziato a recitare in una piccola compagnia di provincia e a Roma aveva continuato a coltivare la sua passione. Poi l’università era finita. Le aspettative erano tante. Avrebbe voluto lavorare in una casa editrice. Le piaceva il contatto diretto con i fogli, l’inchiostro, le copertine dei libri. Le piaceva l’odore della carta, la sua consistenza. Ma non ci era mai riuscita. Le aveva tentate tutte fino a chiedersi se avesse veramente azzeccato la strada giusta. Ora era convinta di aver sbagliato tutto.
«Ciao» rispose lei con aria scocciata. Continuare la conversazione diventava difficile ma Marco insisteva. «Com’è andata la giornata?». Lei, indecisa tra il sentirsi presa in giro e ferita, ci pensò su qualche secondo prima di rispondere ma non poté evitare di riversargli addosso la sua rabbia. «E come vuoi che sia andata? Non ho fatto niente tutto il giorno. Ho guardato un paio di film, ho cercato di leggere un libro e nemmeno ci sono riuscita». A Marco dispiaceva molto quella situazione. Capiva che oltre all’insopportabile empasse in cui era caduta Laura c’era anche un terribile senso di colpa. E che quel senso di colpa avrebbe voluto invadere anche lui. «Non sei uscita per niente? Non avevi appuntamento con quel tizio per un lavoro?» «Eh, già. Il solito call center. Non ho per niente voglia di sbattermi lì dentro dalla mattina alla sera per due lire». Quello che Laura avrebbe voluto dire era che si sentiva terribilmente sola. Non c’era nessuno che la aiutasse a venire fuori da quella situazione di stallo. Nessuno che le desse una pacca sulla spalla. Nessuno che si preoccupasse per lei. Era sola. Con il suo telecomando e la sua cosiddetta vita.
Marco era preoccupato per lei. L’aveva vista trasformarsi in pochi mesi. Dalla ragazza allegra, gioiosa e piena di vita che aveva conosciuto si trovava davanti un corpo inerte che ogni giorno che passava accumulava tristezza. Però non sapeva come prendere in mano la situazione. Non poteva sostituirsi a lei e non poteva nemmeno mettersi a cercare al suo posto il lavoro che lei tanto desiderava. Però era fiducioso. L’amava profondamente nonostante tutto. Sapeva che una volta toccato il fondo Laura sarebbe risalita. E che la loro vita, insieme, sarebbe stata meravigliosa. «Allora hai cercato qualcosa che ti interessasse di più?» «Ma se sono stata due anni a inviare curriculum a vuoto, cosa vuoi che faccia ora?». La situazione era delicata. Una parola detta fuori posto avrebbe scatenato un litigio. E Marco non voleva litigare. Voleva solo essere felice e raccontarle le sue novità entusiasmanti. Ma ora l’entusiasmo era svanito. Parlare di sé adesso avrebbe significato ferirla ancora di più.
Il problema era che Marco a quel punto non sapeva andare avanti. Era bloccato in una discussione in cui non aveva idea di dove buttarsi. Aveva paura di ferire Laura o di dire cose che avrebbero peggiorato la situazione. E allora non disse niente. Si mise a cucinare. Laura non aveva alzato un dito. «Mangi qualcosa con me?» disse lui. «No, non ho fame» rispose lei. Come si permetteva quel tizio di giudicarla. Perché era quello che aveva sentito dalle sue parole. Come se lui, con le sue domande, avesse voluto farla sentire in colpa. Ma lei si sentiva in colpa? Sì. Decisamente. Per non aver concluso nulla nemmeno quel giorno. Appena sveglia aveva fatto colazione e aveva anche pensato di andare al colloquio per il call center. Ma poi il suo corpo era rimasto immobile. Nella sua mente qualcosa le diceva di muoversi. Ma nulla. Nemmeno un dito si era mosso. E così erano arrivate le 11, l’ora del colloquio. Lei era ancora in casa, in pigiama. Quello che era accaduto non le aveva dato la forza di reagire nel tentativo di trovare un’alternativa. Era piombata ancora di più nella sua tristezza, sopraffatta da un enorme senso di colpa.
Quello che Marco avrebbe voluto dirle era che gli piaceva guardare le sua gambe nude sul divano. Ma pure quella frase gli si strinse in gola. Lei non lo aveva accolto nemmeno con un bacio. 
Consumò la sua cena, un paio di hamburger arrosto e una scatoletta di mais. Poi andò a spogliarsi. Laura adesso si sentiva colpevole anche per non essere stata carina con lui. Anche quella era una cosa che non era riuscita a fare a causa dell’immobilità del suo corpo. La sua mente, il suo cuore avrebbero desiderato abbracciarlo, baciarlo, toccarlo. Ma i suoi muscoli glielo avevano impedito.
E così in casa si era diffusa un’aria pesante. Marco e Laura erano chiusi nei loro pensieri. Lui decise mettersi a letto e sprofondare nella lettura di un libro. Da un lato era infastidito dal comportamento di Laura, dall’altro voleva restare fuori da quel mondo infestato di paranoie e di problemi consapevole di non poter essere utile a risolverli. Laura era rimasta sul divano a guardare, senza vederla, la televisione. I suoi pensieri si accavallavano adesso ancora più di prima. Sapeva che aveva sbagliato pure con Marco. Ma la rabbia le aveva annebbiato anche i sentimenti. Così si addormentò sul divano finché non sentì il rumore della porta del bagno. Marco si era alzato e stava per andare al lavoro. Un’altra giornata stava iniziando. Per lei ancora uno strazio. Marco cercò di non fare troppo rumore. Quel giorno avrebbe incontrato il suo capo, per discutere della sua promozione. Laura non lo sapeva. E lui non aveva intenzione di dirglielo quella mattina. Chiuse la porta e uscì. Lei si alzò per andare in cucina a bere quel sorso di caffè che era avanzato.