giovedì 14 febbraio 2013

I LOW shopping (ovvero: I love shopping low-cost)


Lo dico subito a scanso di equivoci: non ho mai letto Sophie Kinsella. E non ho la più pallida idea di cosa ci sia scritto nei suoi libri.
Ma voglio parlare di shopping. Quella cosa che per il genere maschile rientra nelle patologie incurabili della donna. E forse non a torto. Ne sono sempre più convinta da quando, oggi, mi sono concessa una piccola avventura nel mondo dell’abbigliamento.
Ora, non tutti sanno che non tutte le donne sono malate di shopping. O meglio: è una malattia distribuita a diversi livelli a seconda del bisogno di affermazione, di approvazione estetica, di insicurezza personale e di qualsiasi altro migliaio di varianti possibili che vagano nel cervello femminile. Ma per dirlo serve uno psicologo. Io mi limito ad osservare. Le altre e me stessa.
Lo ammetto: non sono un' esperta di moda, ho probabilmente uno stile tutto mio, che definirei comodo prima di tutto, originale senza trasgressione, con un pizzico di sensualità e generalmente colorato. Non mi piace abbinare ossessivamente scarpe, cinta, borsa e accessori vari perché lo trovo estremamente faticoso e trovo consolante definire questo modo di fare “provinciale” e di poco gusto. Insomma per comodità preferisco la borsa che va bene su tutto. Purché sia capiente quanto quella di Mary Poppins.
Altra cosa importante da sottolineare: il mio shopping è sempre economico: passo dai riti del mercato settimanale (quello dell'usato, d'altronde se hai buon gusto e sai scegliere fa pure un sacco chic) alle scorribande nei grandi magazzini dell'abbigliamento fashion a basso costo.
È con l'intenzione di riuscire anche stavolta in una delle mie migliori performance alla ricerca del capo "figo" a poco prezzo che oggi me ne sono andata nel negozio di una grande catena di abbigliamento low-cost. E per dimostrarvi quanto sia lieve la mia malattia premetto che non avevo minimamente idea che proprio oggi (al massimo ieri) fossero iniziati i saldi a Latina. Lo capisco appena ci arrivo davanti: SALDI SALDI SALDI. Le vetrine sono tappezzate con lettere cubitali. Fuori dal negozio, che avrebbe aperto alle 13, inizia ad arrivare gente. E quando le serrande si alzano l'orda si riversa nel locale, la gente affoga tra migliaia di capi, inizia l'occupazione militare dei camerini mentre le commesse tentano di conservare un accogliente sorriso che di lì a poco si sarebbe trasformato in un tic nervoso.
Io intanto assaporo l’estasi della grande occasione. Come se mi fossi trovata un po’ per caso un po’ per destino nel posto giusto nel momento giusto. Entro lentamente pensando al mio obiettivo: non farmi scappare le occasioni migliori. E cercare quei capi di cui andrò fiera perché so che assaporerò un piacere sublime nell’ indossarli sapendo di averli pagati due centesimi.
Mentre inizio a scandagliare scaffali e stendini su cui soffrono strizzati migliaia di abiti inizio a riflettere. E maturo uno strategia. Prima cosa: scandagliare il negozio. Guidata da un intuito artistico tutto mio passo in rassegna tutti i reparti, meticolosamente, uno ad uno. Tocco, osservo, catalogo, immagino, costruisco, confronto. Ma non prendo nulla. La prima fase la dedico ad una perlustrazione approfondita. Alla quale, mi dico, seguirà la scelta dei capi da portare in camerino. Un lavoro impegnativo ma che si risolve presto in una prima selezione. Al termine della perlustrazione so già quali capi mi hanno attratta veramente, quali solo superficialmente e quali non mi interessano affatto. Fermo restando che non si tratta di una classificazione rigida. Sono consapevole del fatto che in qualsiasi momento potrebbe spuntare un capo che mi era sfuggito prima o, ancora meglio, potrei rivalutare qualcosa che avevo scartato a priori grazie ad una nuova illuminante prospettiva.
E arriva il secondo giro. Stavolta infilo la mia Shopping bag sulla spalla sinistra pronta a metterci dentro i vestiti. Non certo quelli che comprerò. Ma quelli che avranno passato la prima selezione e che potranno venire con me nel camerino. E per fare ciò c’è bisogno di alcune regole: mettere in borsa anche quelle cose su cui tentenno, non farmi scrupoli tanto so già che addosso avranno tutt’altro effetto e quindi per una ragione o per l’altra molti di quei capi saranno scartati.
Torno ai posti di partenza. E rifaccio il percorso dal principio. Stavolta sono più sicura. So che se prenderò gli shorts a 15 euro non ne troverò un altro paio che preferisco a 7 euro più avanti. Anche a questo serve la perlustrazione.
E comunque si comincia. Guardo le taglie, seleziono e infilo nella Shopping bag. Fondamentale in questa fase è ascoltare i commenti delle altre. Sento gridolini di gioia un po’ qua un po’ là, donne che trovano cose che io non avevo visto o che non avevo osservato nel modo giusto. Una dice: “guarda quella camicetta l’ho vista l’altro giorno ad una tipa che ci ha abbinato jeans shorts e una cinta carinissima, era stupenda”. E allora vado lì e me la guardo. Mi dico che effettivamente non è poi male e potrei provare a vedere se anche su di me fa quell’effetto “figo”. Così la infilo nella Shopping bag. Ovvio che la tecnica va usata con cautela. Bisogna saper valutare soprattutto se chi ha espresso quel giudizio ha gusto o meno. Altrimenti si rischia di tornare a casa come un uovo di Pasqua. Il proprio gusto personale regna su tutto.
Importantissimo se si fa shopping da sola è poi infilare nella Shopping bag anche diverse taglie dello stesso indumento. Non essendo sicure della propria misura una volta entrate in camerino è impossibile uscire per andare a prendere la taglia giusta e poi rientrare trovandolo ancora libero. Quindi se non è possibile munirsi di un’accompagnatrice meglio adottare questo escamotage. Tanto poi gli indumenti non bisogna rimetterli a posto. C’è gente pagata per farlo. E farti trovare la taglia giusta è nel loro interesse. Quindi: non fatevi scrupoli.
Il momento della prova è arrivato. Fortunatamente trovo un camerino libero e so che devo sbrigarmi ad occuparlo. Dribblo un gruppo di ragazze che approfittando di un mio momento di distrazione mi avevano superata e cogliendo un loro tentennamento sgattaiolo nello stanzino. Chiudo e sospiro: è mio!
Prima di passare alla prova vera e propria appendo tutti i capi e decido di dar loro un ordine. Quelli scartati andranno sulla porta mentre a quelli buoni riserverò uno degli appendiabiti.
Con mia grande sorpresa il capo di cui ero più convinta non mi piace addosso. Vedi a che serve provare? Curioso come questa riflessione mi faccia pensare subito ai miei rapporti col mondo maschile.
Ma è solo un momento: devo concentrarmi. Mi guardo allo specchio e mi vedo. E allora capisco che a me quel colore non mi sta proprio bene ma quell’altro mica male però. Finisco col scegliere i capi più comodi ma con stile. Come volevasi dimostrare. Pochi superano la selezione ma in fondo so che di loro non mi pentirò mai. La camicetta “figa” non va, a me non è proprio adatta. Avrei dovuto fidarmi della prima impressione ma che fa, d’altronde l’ho solo provata. Vado dritta alla cassa e, purtroppo, c’è la fila. Mica perché devo aspettare. Ma perché è allora che inizia il momento più tragico. Ché se sei in fila da sola e non hai un’amica stavolta non c’è scampo. È matematicamente provato che una volta in coda scopri tutto quello che avresti voluto comprare e non hai trovato prima. Arriva la tipa che chiede di cambiare quel top che tu avresti tanto voluto ma che non c’era della tua taglia e a lei la tua taglia invece non va bene allora lo ha riportato indietro. Che fai? Perdi la fila? Per un pezzo di stoffa? Io decido di no. Poi mi guardo attorno. E inizio a vedere tutte quelle magliette che non avevo considerato eppure costano così poco ma non ci avevo pensato e invece adesso che le vedo addosso alle commesse sono così carine che non potrei farne a meno. Come se tutti quei capi fossero rimasti nascosti fino a quel momento e fossero venuti fuori a farti bubusettete!
Ma la fila dietro di me è cresciuta e a quel punto ricominciare da capo è un suicidio. In fondo lo so che la storia si ripeterebbe ad ogni tentativo di pagare. E quindi faccio finta di non vedere. Finisco la coda, pago e vado via.
Tornata a casa svuoto la mia preziosissima busta e assaporo i miei nuovi acquisti low-cost mentre li sistemo uno ad uno nell’armadio. E sul mio volto si disegna un ghigno di soddisfazione. Coronato dal pensiero che presto tornerò in quel negozio per poter usufruire di un buono sconto del 10% che la commessa mi ha consegnato. E sì: rifarò tutto da capo!

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