mercoledì 3 aprile 2013

L'Aquila. La comunicazione può uccidere. Condannata la Commissione Grandi Rischi.

Un lettore mi ha segnalato il caso, che trovo molto interessante ai fini dell'analisi delle conseguenze che una cattiva comunicazione o una comunicazione non strutturata strategicamente, può provocare.
Spesso non ci rendiamo conto di quanto siano importanti, e in alcuni casi perfino gravi, queste conseguenze. Perciò è importante rilevare i casi più esemplari.

Quattro anni fa, il 6 aprile del 2009, si scatenava in Abruzzo uno dei più disastrosi terremoti della storia italiana più recente.
Da subito l'opinione pubblica si è chiesta se un simile evento avrebbe potuto essere previsto dagli esperti. Certamente, nessun terremoto può essere previsto. La gente però aveva bisogno di essere rassicurata. Ed è stato quello che ha fatto la Commissione Grandi Rischi, secondo il giudice Marco Billi, il quale ha condannato i componenti di quella commissione, lo scorso gennaio, per false rassicurazioni.

La Commissione aveva dato alla gente quello di cui in quel momento aveva bisogno: rassicurazioni.

Il punto è che quelle rassicurazioni non erano fondate su dati reali.

Uno dei principali criteri su cui deve basarsi qualsiasi evento comunicativo, per avere esiti positivi e produrre successo a tutti i livelli è la verità*. Non la verità nuda e cruda. Ma quella che corrisponde a ciò che, in questo caso specifico, gli studiosi erano in grado di dichiarare per le informazioni concrete di cui erano in possesso. Poteva trattarsi di dati, statistiche ma non, certamente previsioni.

Che fossero rassicuranti o disastrose, gli esperti della Commissione non avrebbero potuto rilasciare nessuna dichiarazione in merito a come la terra si sarebbe comportata. Quello che poi è accaduto è che la terra ha tremato ancora. Portando morte e distruzione.

Il caso è tornato a galla con la sentenza dello scorso gennaio e la successiva pubblicazione del libro di Antonello Ciccozzi: Parola di Scienza - Il terremoto e la Commissione Grandi Rischi. Un'analisi antropologica (DeriveApprodi), un giovane antropologo nominato consulente della Corte che ha giudicato la Commissione. 

«La diagnosi fatta dagli esperti - precisa l'antropologo - ha avuto effetti disastrosi perché, grazie al potere persuasivo dell'autorità della scienza, ha prodotto una rappresentazione sociale rassicurante che ha pervaso il senso comune, riducendo la percezione del rischio e causando, insieme alla vulnerabilità degli edifici, la perdita di vite umane».

Lo studio di Ciccozzi è stato decisivo nella formulazione della sentenza. «I pm Fabio Picuti e Roberta D'Avolio - dichiara l'autore in un articolo di Repubblica - hanno deciso che per comprendere questa vicenda era necessario definire come la diagnosi fornita dagli esperti avesse interagito con la cultura antropologica del luogo. E alla fine anche il giudice ha accolto quest'interpretazione. Nessuno si aspettava la condanna, che poi c'è stata».

Un secondo errore è stato poi fatto dall'opinione pubblica. L'idea che tutti hanno avuto è che la Commissione Grandi Rischi fosse stata messa sotto accusa per "mancato allarme" e cioè per non aver previsto il terremoto



«Cinquemila scienziati - spiega Ciccozzi - hanno firmato un appello contro l'idea che si processassero degli scienziati per non aver previsto un terremoto. Un appello così lo avrei firmato anch'io, ma nella realtà quell'appello è una mistificazione. È bene ripeterlo: il processo non era per non aver previsto il terremoto, ma per aver previsto che non ci sarebbe stato nessun terremoto, non per "non aver allarmato" ma per aver rassicurato».



*(Troverete riscontro di una possibile struttura di un piano di comunicazione nel mio manuale di prossima pubblicazione per AbelBooks Come costruirsi una strategia di comunicazione di successo).

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